Piazza della Passera a Firenze è uno dei luoghi più vivaci e caratteristici dell’Oltrarno. Il suo nome, però, deriva da due storie ben diverse.
Da che si ha memoria, Piazza della Passera strappa ai fiorentini sorrisi e qualche battuta (facile) al solo pronunciarla: nomen omen, in questo caso.
Ma la cosa che forse non tutti conoscono è che questa piccola e centralissima piazza tipicamente fiorentina, nasconde almeno due storie tra il pulp e il dramma.
A guardarlo oggi, è uno degli angoli più caratteristici di Firenze e della zona di Santo Spirito: ricco di ristoranti, attività, movida e fascino storico. Ma Piazza della Passera deve l’origine del suo nome a due storie dalle cupe tinte medievali: fra prostituzione, bordelli, malattie e animali.
La prima delle due versioni -la più accreditata- narra di una zona dove al posto degli odierni bar e dehors, nel ‘500 esistesse un bordello. Un postribolo così celebre da essere addirittura frequentato da Cosimo I, Granduca de’ Medici; e che portò all’apertura di un’altra casa chiusa nelle immediate vicinanze.
Per via delle assidue frequentazioni cittadine, rimase aperto per centinaia di anni (fino alla demolizione negli anni ’20) attirando sulla zona la nomea d’ispirazione genitale che tutt’oggi qualifica la piazza, al posto dell’originario nome di Piazza dei Sapiti. Insomma: un distretto a luci rosse, per dirla con termini moderni.
L’altra storia che viene tramandata, racconta invece di un episodio tra carità e dramma biblico. Anno 1348: Firenze verrà squassata di lì a pochissimi giorni dalla peste di boccacciana memoria.
Poco prima della tremenda epidemia, due bambini trovarono nell’attuale Piazza della Passera un volatile morente. Impietositi, lo raccolsero, cercando di salvarlo. La passera, però, morì nel giro di poche ore, portando con sé il dramma che sconvolse Firenze: era malata di peste.
Si racconta che questo episodio fu l’inizio della peste che falcidiò Firenze, portando sull’orlo dell’annientamento la città: uccidendo circa 40.000 fiorentini nell’arco di qualche mese e scaraventando Firenze sul lastrico. Come magistralmente descritto da Boccaccio nel Decamerone.