A 40 anni dalla morte del poeta, ti racconto come Pablo Neruda celebrò Firenze.
L’Arno, Palazzo Vecchio, le case in pietra. C’è un legame fatto di versi tra Pablo Neruda e Firenze; liriche meravigliose che ho scoperto da poco, e che il poeta latinoamericano dedicò alla città durante il suo soggiorno fiorentino nel gennaio 1951. Incantato dalle rive dell’Arno e ispirato dalla sua voce, il poeta compose la poesia «Il fiume»:
«Io entrai a Firenze, Era/di notte. Tremai sentendo/quasi addormentato ciò che il dolce fiume/ mi raccontava. Io non so/ciò che dicono i quadri e i libri/ ma so ciò che dicono/tutti i fiumi. Hanno la stessa lingua che io ho. Nelle terre selvagge/ l’Orenoco mi parlava/ed io capisco, capisco/storie che posso ripetere. Ci sono segreti miei/che il fiume si è portato, e ciò che mi ha chiesto io vado facendo a poco a poco nella terra (…)».
Erano gli anni dell’esilio politico per Neruda, costretto ad abbandonare il Cile a causa della sua aperta opposizione al presidente cileno Videla. In quel periodo viaggiò per l’Europa e si fermò a lungo in Italia, dedicandole parole di stima e descrivendola come espressione di libertà.
Firenze, la città di Pablo Neruda
A Firenze il poeta dedicò una seconda poesia, «La città», scritta in seguito all’incontro in Palazzo Vecchio con l’allora Sindaco di Firenze Mario Fabiani.
«E quando in Palazzo Vecchio, bello come un’agave di pietra/salii i gradini consunti, attraversai le antiche stanze/e uscì a ricevermi un operaio, capo della città, del vecchio fiume, delle case/tagliate come in pietra di luna, io non me ne sorpresi: la maestà del popolo governava (…)».
Sono passati 40 anni dalla morte di Neruda. Ma i suoi versi meritano di continuare a vivere negli occhi e nel cuore dei Fiorentini.
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