Il 12 Marzo del 1922 nasceva una delle figure più affascinanti e culturalmente influenti del XX secolo: Jack Kerouac.
”Non ti preoccupare della morte, quando ci arrivi, perché non lascia impronte. Siamo una generazione beat”.
Pare quasi bizzarro, oggi, che un uomo di umili origini franco-canadesi e lontana discendenza cherokee – nato in un periodo dove il peso delle ideologie schiacciava e plasmava il mondo in maniera incancellabile – abbia marchiato a fuoco intere generazioni di giovani (e meno) con frasi come quelle sopra.
Meno bizzarro pensarlo se quell’uomo all’anagrafe recitava Kerouac Jack, nato a Lowell; Massachussetts. Nel New England, una regione tanto elegante quanto fotografata d’autunno all’arrossire delle foglie d’acero. E niente più. Ecco che una personalità affamata e destinata alla leggenda postuma, come quella di Kerouac, non poteva che liberarsi violentemente delle convenzioni, delle gabbie e delle (apparentemente) innocue e soffocanti costrizioni sociali di un luogo idilliaco come Lowell. Figlio meticcio della terra (autoproclamata) della Libertà.
Viaggiando. Spesso fuggendo. Anche da se stesso, per ritrovare sé. Conoscendo, esplorando, provando e sbagliando tutto e il contrario di tutto. Tracciando così una rotta frenetica, ondivaga, diseguale, spiazzante e per certi aspetti fuori da ogni logica: una vita mai vista né sentita, fino ad allora. Una cesura.
Una biografia sensazionale, impressa in maniera schizofrenica su un rotolo di carta sporco e liso. Quel rotolo diverrà – qualche anno dopo – uno dei volumi più sconvolgenti e culturalmente squassanti in un secolo di enormi contraddizioni, il ‘900: On the Road.
Forza veritiera e senza l’ombra del compromesso di cronache di vita (sulla strada). Esperienze, intrise di linguaggio diretto, tra il farneticante e la poesia libera. Inchiostro, che pareva fuoriuscire direttamente dalla pelle per tatuare in fronte a tutto il mondo conformista e bigotto – negli anni di Marilyn e dell’invenzione della TV – una dimostrazione di vita vissuta.
Correndo: non importa dove, ma andando. Senza limite alcuno, se non quello della carreggiata lasciata alle spalle: attraversando miglia e paesaggi divenuti in seguito luoghi di culto.
Consegnando alla leggenda non un semplice luogo, ma un’intera strada sconosciuta: la Route 66. Da allora assorta a sinonimo di libertà, di fuga, di ambizione, di indipendenza e sogni. Kerouac: un uomo cicatrizzato da turbamenti interiori, equilibrista delle emozioni in libertà, schiavo del sesso, alcolista convinto. In due parole: se stesso. Sempre. Tanto dissoluto e disorientante nelle poche occasioni in cui i grandi media si interessarono a lui, quanto sublime e inarrivabile in molte sue opere (mis)conosciute.
In definitiva, un uomo al confino per il mainstream. Audace in tutto: tacciato di oscenità, comunismo, tossicodipendenza. Ghettizzato. Ma riscoperto, segnando più epoche, diventando un’icona in penombra del nostro mondo. Sconvolgendo e facendo sussultare l’anima di intere generazioni, divenute adulte dormendo col suo nome sul comodino o sottobraccio. Non accontentandosi, così, della realtà percepita al di fuori delle mura.
Di Kerouac – oggi – ci rimane una significativa, originalissima e voluminosa opera omnia: sospesa fra poesie, jazz assordante, benzedrina, automobili scassate, donne affascinanti, amicizie sconvolgenti, agende caotiche, tabacco, improvvisazione, miseria, valigie di cartone, strade (s)perdute e immensi, assolati, suggestivi e spaventosi spazi.
Raccontati da un vagabondo, un profugo della vita. Non curante dell’intorno, sfiorando il mondo e accendendolo a contatto con sé: rendendolo illuminato e sbalorditivo come candelotti esplosivi nella notte. Allora, come oggi.
”Adesso considera un po’ questi qua davanti, Sal. Hanno preoccupazioni, contano i chilometri, pensano a dove devono dormire stanotte, quanti soldi per la benzina, il tempo, come ci arriveranno… e in tutti i casi ci arriveranno lo stesso, capisci. Però hanno bisogno di preoccuparsi e d’ingannare il tempo con necessità fasulle o d’altro genere, le loro anime puramente ansiose e piagnucolose non saranno in pace finché non riusciranno ad agganciarsi a qualche preoccupazione affermata e provata e una volta che l’avranno trovata assumeranno un’espressione facciale che le si adatti e l’accompagni, il che, come vedi, è solo infelicità, e per tutto il tempo questa aleggia intorno a loro ed essi lo sanno. E anche questo li preoccupa senza fine”.
[Dean Moriarty; On the Road]