Stati Uniti, 25 Marzo 1942. E’ nata una stella. Aretha Louise Franklin compie settant’anni, che celebriamo ripercorrendo la sua straordinaria avventura musicale.
Prima donna ad entrare nella Rock and Roll Hall of Fame. Onnipresente nelle classifiche per le voci più belle di sempre, sovente al primo posto. Per molti è Lady Soul, ma basta semplicemente pronunciare il suo nome per accendere l’entusiasmo: Aretha. Punto.
Dalla Chiesa, accompagnando a suon di Gospel le funzioni religiose tenute dal padre, predicatore battista, al successo planetario. Non così in fretta, però. L’ingresso nel mondo della musica per Aretha è infatti decisamente in salita. Sei anni di purgatorio, per la precisione. Passati registrando per la Columbia Records album dall’impostazione jazzistica, che non le permettono di mostrare in pieno il suo incredibile talento. Il meglio deve ancora venire.
E il meglio arriva, nel 1967. La grande svolta ha il nome di Jerry Wexler, produttore della leggendaria casa discografica Atlantic, dove finalmente Aretha trova una casa e, grazie alla lungimiranza del suo mentore, uno stile. Il suo stile, quello Soul, che perfettamente si sposa con una vocalità da fuoriclasse e una carica interpretativa impressionante.
Aretha Arrives, recita il titolo del secondo album inciso in quell’anno d’oro. Non potrebbe essere più vero. Il soul ha trovato la sua Lady. Non di ferro, ma di platino, come i premi che colleziona.
Come miglior interprete femminile colleziona anche Grammy Awards, che per otto anni consecutivi diventa l’Aretha Award. Non ha rivali.
La sua voce, grazie all’interpretazione della meravigliosa Respect di Otis Redding (“una canzone che mi è stata rubata da una ragazza“, dirà lui) diviene in questi anni emblema dei diritti civili e del femminismo. La Franklin è ormai un’icona, consacrata nel 1968 anche dalla copertina del Time.
Le difficoltà però non sono finite per la ragazza cresciuta a Detroit. Alle asprezze di una vita personale segnata da due precoci maternità, da un divorzio, dalla faticosa scalata al successo, combinate con l’atavica insicurezza e l’animo tormentato che si cela dietro la voce da regina, si aggiunge il temporaneo oblio degli anni Settanta.
Forse è per la scelta di abbandonare lo stile aggressivo che l’ha portata al successo in favore di sonorità più dolci, forse per l’esplosione della disco music. Certo è che questo decennio segna per Aretha un vertiginoso calo di popolarità.
Sebbene a questi anni risalga uno dei suoi più grandi capolavori, il funanbolico ritorno alle radici Gospel di Amazing Grace, la stella di Aretha appare offuscata. Fortunatamente, l’eclissi non è destinata a durare.
E’ il grando schermo a sancire il ritorno di Lady Soul, con la partecipazione al cult movie per eccellenza. In The Blues Brothers la Franklin veste i panni dell’agguerrita consorte di Matt “guitar” Murphy, ben decisa a non far unire il consorte alla grande impresa dei due fratelli “in missione per conto di Dio”.
Bastano i pochi minuti di una strepitosa versione di Think, suo vecchio successo, per renderle il trono che le spetta. Da allora si susseguono duetti in grandissimo stile con le più belle voci contemporanee, da Elton John a George Michael.
Fino alla partecipazione del 1998 alla serata VH1 Divas , dove Aretha giganteggia su tutte le sue presunte eredi, dalla virtuosa Celine Dion a Gloria Estefan, passando per Mariah Carey e Shania Twain. E’ sempre lei la più grande.
Non c’è cantante che non la citi come modello, ma emularla resta impresa impossibile. Simbolo della black music e della scena statunitense, nel 2009 partecipa alla cerimonia di insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca.
I festeggiamenti nel 2012 sono invece tutti per lei. Per i suoi settant’anni, ma anche e soprattutto per la sua inimitabile ed eterna amazing voice.