Magnifica Presenza. Ghost comedy dal retrogusto amaro di Ferzan Özpetek

Il 16 Marzo è uscito nelle sale Magnifica Presenza, l’opera più impegnativa del regista Ferzan Özpetek, che segna il suo atteso ritorno dietro la macchina da presa.

Nel cast Elio Germano, Giuseppe Fiorello, Margherita Buy, Vittoria Puccini e Paola Minaccioni.

La trama

Pietro (Elio Germano), ragazzo schivo e dallo sguardo innocente, abbandona la Sicilia per trasferirsi a Roma, sognando di sfondare nel mondo del cinema, ma nel frattempo deve accontentarsi di sfornare cornetti. Dopo aver condiviso per un periodo l’appartamento con sua cugina Maria (Paola Minaccioni), decide di cercarsi un’altra sistemazione tutta per sé. 

La nuova casa, arredata con mobili d’epoca, emana un fascino particolare e in quell’atmosfera allo stesso tempo inquietante, Pietro inizia a percepire presenze eccentriche e truccate.

Giunte dal passato si aggirano misteriosamente tra le stanze, ma a poco a poco parteciperanno ai segreti e alle delusioni del protagonistaDa quel momento la vita di Pietro non sarà più la stessa.

Capire il presente attraverso il passato e la diversità

Surrealismo, commedia e dramma: il fascino di Magnifica Presenza. Dopo i toni scanzonati e frivoli di Le Mine Vaganti, il regista corale Ferzan Özpetek si sofferma nuovamente sulle passioni e sulle emozioni, fondamentali per vincere le paure e le difficoltà della vita. In questo nuovo capitolo affronta sensibilmente l’accettazione della perdita, la rivendicazione della diversità e della fragilità umana alle prese col passato.

Le prospettive del racconto cambiano come i rapporti tra i personaggi: la suspence e la tensione che aleggiano nelle prime scene lasciano il posto alla curiosità nei confronti dei nuovi coinquilini e alla consapevolezza di sé, attraverso l’incontro di due mondi diversi. Finzione e realtà, passato e presente si abbracciano in un gioco di specchi.

Inevitabile il riferimento a Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, ma qui si cerca il proprio passato. Pietro e le strane presenze, fantasmi teatrali e personificazioni della memoria storica, sono spaventati dalla realtà, da ciò che s’incontra al di fuori dell’appartamento, che si rivela una prigione, ma anche un rifugio dove essere completamente se stessi.

Il film di Özpetek è popolato di personaggi caratteristici, d’indubbia ispirazione almodovariana, che assumono il ruolo di portavoce di un mondo che vuole integrarsi nella società, non indossare più maschere, non recitare parti, ma essere semplicemente se stessi. Pregio e difetto del regista. La focalizzazione sempre sul “diverso” innesca un meccanismo ripetitivo che col tempo rischia di non convincere più lo spettatore.

Divertenti i siparietti comici tra Pietro e i suoi colleghi e il rapporto affettuoso con la cugina incasinata mentre insignificante la scena surreale nel covo delle trans-sarte, capeggiate dalla diabolica Platinette. Un cast di bravi attori, tra cui spicca l’interpretazione di Elio Germano, quasi sfiorato dall’obiettivo.

Far scaturire una risata da una triste verità contraddistingue Özpetek, in grado di raccontare storie, intingendo la macchina da presa in un inchiostro delicato e particolare. Un sogno infranto sul palcoscenico della vita. Cosa importa, comunque vadano le cose, lo spettacolo deve andare avanti.

“Non riesco a essere gay, figurati se riesco ad essere eterosessuale!”