1 Marzo 2012: a tre giorni dal suo sessantanovesimo compleanno, se n’è andato Lucio Dalla. Colpito da un infarto durante il suo tour a Montreaux, in Svizzera.
Difficile, difficoltoso, praticamente impossibile. Lo è cercare di riassumere con qualche riga colui che a tutti gli effetti è stato, è e sarà una figura leggendaria per l’universo musicale italiano. Un maestro, certo, più giusto definirlo un poeta contemporaneo, forse. Essenzialmente: Lucio Dalla.
Un artista amatissimo. Un’icona comune, trasversale, condivisa, in un paese diviso: sotto forma di Musica, parole, emozioni. Attraverso un’oceanica carriera, tracciando una leggenda artistica e, per questo, eroica. Chi ascolta, chi ama la musica ha sicuramente con sé sue canzoni, frammenti, poesie e immagini da conservare nel tempo: un’ombra infinita, allungata da una morte improvvisa; quasi banale nella forma, quanto eccezionale nel contenuto.
Dalla, una personalità istrionica ed entusiasta; un artista venerato – oggi come ieri – da chiunque. Un viveur brillante e scanzonato, un compositore di altissimo livello, un innovatore a volte scomodo: una vita da cantautore. Da primissimo attore. Un protagonista irrinunciabile della musica leggera italiana. Un connubio intrecciato di talento, swing, pop e clarinetto: fin dai primordiali esordi nella provincia emiliana, quando la parola rock ancora significava qualcosa di proibito, di diverso: a cui guardare con diffidenza ed atteggiamento schivo e refrattario.
Probabilmente proprio per questo ha scritto, sperimentato e influenzato il panorama del cantautorato nazionale come pochissimi. Rimanendo in bilico su una fune, giocando col talento smisurato di chi si muoveva in equilibrio fra sperimentazione, festival nazional-popolari e straordinarie composizioni personali. Non smarrendo mai la rotta e omaggiando nomi del calibro di Curtis Mayfield e concedendosi parentesi con Mina. Non rinunciando mai, e anzi, coltivando una verve provocatoria e disinvolta, in tempi ed ambienti bacchettoni – e troppo spesso – forzosamente moralisti: Parlava un’altra lingua, però sapeva amare.
Rincorso dall’élite della canzone nostrana, fra collaborazioni indimenticabili, fraseggi toccanti, omaggi senza tempo, ritmi sincopati e testi a mezzo fra dileggio, dissacrazione, amore e sottile ironia; palleggiando con le emozioni umane, come solo i grandissimi sanno. Un poeta con l’anima del clown, prestato alla composizione musicale popolare. Con qualcosa di diverso, di lunare.
Tanti, fin troppi i momenti memorabili di una carriera senza tempo. Eclettismo puro: dai lavori con De Gregori e Morandi, alla sua etichetta-cult Pressing, fra Stadio e Samuele Bersani, soltanto per citarne alcuni. Impossibile ripercorrere 50 anni di vita e musica, indissolubilmente legati. Abbracciati in un tutt’uno, sotto l’ombra di un cappello.
In conclusione: il sipario che oggi è sceso (fulminante) su un artista unico, ci consegna una figura indimenticabile e, per questo, vivissima. Se l’impresa eccezionale è essere normale, beh, di Lucio ci rimane proprio questo: una lezione (di vita e musica) eccezionale.