Una pratica oggi diffusa in tutto il mondo, ma che trae le sue origini da un’arte marziale. Andrea mi ha spiegato lo shibari, tecnica di bondage giapponese.
Promuovere il bondage come pratica libera, emancipandola da facili stereotipi. Questo l’obiettivo che mi fa subito presente Andrea, violinista fiorentino ed educatore sessuale, che ha trasformato – è proprio il caso di dirlo- le corde nel fulcro della sua attività.
Da circa un paio d’anni Andrea gestisce infatti La quarta corda, un progetto artistico dedicato al bondage giapponese: una tecnica che deriva dall’hojōjutsu, l’arte marziale basata sull’immobilizzazione attraverso le corde. Ecco cosa mi ha raccontato su questi metodi di legature erotiche che risalgono al tempo dei samurai e degli Shōgun.
Come ti sei avvicinato al bondage?
Ho fatto un corso post laurea all’Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica per diventare educatore sessuale. Alla fine di una storia con una ragazza molto importante mi sono in seguito appassionato alle pratiche del bondage e ho deciso di portarle a Firenze, dove manca un po’ uno stile di vita alternativo. Così ho creato il progetto de La quarta corda, il cui nome indica un gioco di parole che fa riferimento anche alla modalità di esecuzione violinistica.
Esistono vari stili nel bondage, io sono specializzato in quello giapponese, lo shibari e il kinbaku. In Giappone la tradizione delle corde risale a migliaia di anni prima di Cristo, pensa che anche la stessa area sacra dei templi shintoisti è delimitata da corde. Nato come arte marziale, nel periodo Edo (1603-1868) si è trasformata in un’arte erotica soprattutto grazie al suo utilizzo nel teatro kabuki e nelle stampe erotiche, per poi conoscere un boom nel secondo dopoguerra quando dal Giappone arriva in America e poi in tutto il mondo.
Qual è la filosofia del bondage?
In realtà non esiste una filosofia propriamente detta, c’è però una grossa attenzione per la coppia, di qualunque genere ed orientamento sessuale, e una grande attenzione e rispetto per l’altro: legare infatti non si esaurisce ovviamente nel porre le corde intorno ad un copro, ma il valore e la bellezza del bondage sta nel fatto che esiste un’estrema attenzione per i rapporti che si creano.
C’è interesse per il bondage a Firenze?
Sì, certo. Sebbene i fiorentini siano tendenzialmente riservati, ho visto invece molto interesse sul tema, riscontrando sempre pareri molto positivi dopo i corsi e le manifestazioni, da parte di tutti, dai ragazzi giovani fino ai settantenni.
Ho sempre ottenuto buoni riscontri, probabilmente perché invece di nutrirsi del qualunquismo con cui viene raccontata dai media si basa piuttosto sul feeback positivo delle persone che lo praticano. Chi pratica il bondage lo trova un’attività piacevole e d’unione, basata sulla sessualità in senso lato, nel senso che il coito non vi rientra necessariamente: essa si fonda piuttosto sull’incontro tra due persone, un incontro polisensoriale, dove non si tratta di legare un pacco, bensì di comunicare qualcosa attraverso le corde.
Cosa rappresenta per te il bondage?
Dunque, è bene specificare che il bondage è una parola inglese che significa schiavitù, e indica tutte quelle attività che determinano una costrizione del movimento: non solo corde quindi, ma anche manette, oppure la tecnica della mummificazione in cui si avvolge completamente il corpo del partner.
Il bondage è un’esperienza toccante, un’attività adatta a tutti e alla quale ci si può avvicinare senza paura; si può partecipare ad un corso per le legature base e scoprire che con esse si può già fare bondage con piacere e in sicurezza. A volte vedo molte persone che vorrebbero provare ma che sono frenate da timori infondati: in realtà si crea una comunicazione ininterrotta nella coppia e si hanno grandi soddisfazioni.
Credits foto: www.laquartacorda.it